giovedì 21 febbraio 2013

La Tempesta del Giorgione ed il Tiberio di Pascoli

Tra i grandi dibattiti della critica d'arte, il "caso" della Tempesta di Giorgione (1506-08) è certamente uno dei più affascinanti, per taluni ancora un mistero, per altri chiaro e limpido come lo stesso fulmine che illumina il cielo di questa scena dal sapore arcadico.

Giorgione, Tempesta (1506-08), Gallerie dell'Accademia, Venezia.
Personalmente ho sempre concordato con la lettura fatta da Wind, nella sua Eloquenza dei simboli del 1992, appoggiata dallo stesso Ballarin, secondo cui il soldato sia essenzialmente una personificazione della forza,  la donna intenta ad allattare il bambino rappresenti la Carità e le colonne spezzate una sorta di debolezza e sconfitta di fronte alla forza della natura, rappresentata dal fulmine che squarcia il cielo, (di Castelfranco o Padova?), vera protagonista della scena, di cui Giorgione offre una straordinario senso ed un esplicito ruolo da protagonista, contro la quale noi uomini siamo assolutamente inermi.
Un affascinante, quanto difficile, ipotesi di lettura, mi è sorta, a seguito dell'analisi del poemetto Tiberio (detto poppante, nella bozza del testo), dai Conviviali di Pascoli (1895-1904).
Il breve poema di quattro terzine, organizzato su modello dantesco, narra un episodio dell'infanzia dell'imperatore Tiberio (il Pascoli usa come fonte Svetonio), il quale sorpreso  assieme al padre Claudio Nerone e alla madre Livia in Grecia, nel bel mezzo di una foresta sul monte Borèo in Arcadia, da un incendio,  corse serio pericolo di vita.  Il poemetto pascoliano si conclude così:

 - Livia tranquilla, indomita, ribelle,
tra i rossi òmeri de' gladiatori,

nutre Tiberio con le sue mammelle. -

E' possibile ipotizzare che Giorgione abbia letto, o che almeno conoscesse, l'episodio della vita di Tiberio descritto da Svetonio e che ne fosse rimasto profondamente colpito fino a creare un'opera come la Tempesta, modificando il ruolo del protagonista: non più il piccolo Tiberio, bensì la natura che mise a dura prova la sua forza?
Oppure, Pascoli, disegnatore e poeta, come fu lo stesso pittore di Castelfranco, può aver visto l'opera di Giorgione ed essere rimasto affascinato dal suo mistero iconografico da azzardare una sua velata lettura poetica con il poemetto del 1896 sopraccitato?
Le ipotesi, finora mai studiate ed analizzate in profondità e con metodo critico, rimangono aperte.






Nessun commento:

Posta un commento